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Programma Giornate Dantesche 2021 (23 Settembre - 24 Novembre)

 

Programma Giornate Dantesche 2021 (23 Settembre - 24 Novembre)

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Discorso del Direttore Scaramuzzino in occasione dell'apertura del Colloquio Internazionale "DANTE. UN POETA DEL NOSTRO TEMPO" (25 Settembre 2021, Fondazione Calouste Gulbenkian, Lisbona)

Buongiorno e benvenutə a tuttə,

sono Stefano Scaramuzzino, direttore dell’Istituto Italiano di Cultura, e in tale veste mi è consentito di porgere un saluto inaugurale a tuttə voi, ad apertura di questo Colloquio internazionale dal titolo “Dante. Un poeta del nostro tempo”.

Come prima cosa ci tengo a portare i saluti e gli auguri dell’Ambasciatore Formosa, che ci avrebbe tenuto ad essere qui di persona, ma che impegni improrogabili hanno purtroppo trattenuto. All’Ambasciatore e allo staff dell’Ambasciata va il nostro ringraziamento per aver fortemente voluto queste Giornate Dantesche, di cui il Colloquio di oggi rappresenta solo il primo di una serie di appuntamenti che ci accompagnerà fino a novembre.

Ci tengo a ringraziare altresì tutto il Comitato Scientifico e Organizzatore, e in particolare la prof.ssa Bartolomei e il prof. Figuereido, che hanno seguito con cura tutte le fasi che hanno consentito di trovarci qui oggi, in presenza e in collegamento streaming; ma permettetemi anche di “puxar a brasa as minhas sardinhas”, ringraziando l’Istituto Italiano di Cultura e il suo instancabile staff, che ha accompagnato e creduto nelle Giornate Dantesche fin dalla loro fase embrionale.

Inoltre, un ringraziamento alla Fondazione Gulbenkian, che ha messo a servizio di questo progetto i suoi spazi, la sua professionalità, i suoi tecnici. A tal proposito, permettetemi di menzionare anche il contributo del dott. Marcello Sacco, che in questo stesso istante sta rendendo accessibile il mio discorso in portoghese, e che continuerà ad accompagnarci nella traduzione simultanea anche dal portoghese all’italiano per tutta la durata del Colloquio.

Prima di lasciare la parola al prof. Tamen e ai nostri illustri oratori e oratrici, permettetemi di condividere alcune brevi riflessioni evocate dal titolo scelto per il Colloquio odierno. Riflessioni se vogliamo provocatorie, come provocatorie potevano suonare le argomentazioni e controargomentazioni esposte nei manuali universitari dell’epoca di Dante, con metodo – se vogliamo – scolastico.

Aggiungerei innanzitutto un punto interrogativo al titolo: “Dante, poeta del nostro tempo?”. In altre parole, ha ancora un senso elevare ad oggetto della nostra attenzione le opere del signor Durante degli Alighieri, uomo che prima di essere del nostro tempo era del suo tempo, e le cui opere non possono non risentire del clima islamofobo, razzista, omofobo, della società patriarcale europea a cavallo tra XIV e XV secolo? È morale continuare a parlare di opera madre della lingua italiana, a simbolo di appartenenza e comunanza alla famiglia italiana, di “messaggio di pace” quando ci riferiamo all’opera di Dante? Un Dante che – come scrive Alessandro Barbero nella sua recente opera “Dante”, recentemente tradotta in portoghese dalla casa editrice Quetzal col contributo del Ministero degli Esteri italiano – un Dante che, dicevo, “trovandosi al governo accetta di fare qualche pressione nell’interesse del partito, per evitare che un certo incarico vada alla persona sbagliata, o per garantire un finanziamento ad amici, be’, questo francamente non appare proprio impossibile”?

Cos’ha in comune con quel tempo il nostro tempo? Molto, mi direte voi. Ma riconoscere valore ad un uomo immerso nel mondo di quel tempo contribuisce al perpetrarsi di quei modelli, valori, bias?

Per provare a rispondere a tali domande, si può partire dalla constatazione che, aldilà dei giudizi di valore sull’autore o sui pregiudizi di cui risentono i suoi scritti, stiamo parlando di un essere umano che ha realizzato un’opera titanica, che restituisce il modo di pensare, paure, dissidi, valori e speranze di un uomo del Medioevo; e stiamo parlando di una fotografia, un mosaico sì filtrato, ma allo stesso tempo nitido della vita materiale e spirituale di un preciso periodo storico in una determinata regione d’Europa destinata ad esercitare, o che già aveva iniziato ad esercitare una peculiare influenza sul sistema economico, culturale e artistico europeo.

E stiamo parlando di opere che, con la forza dell’autorevolezza conquistata dalla circolazione concreta, in un mondo senza Autorità statali, Agenzie di Stampa, Case Editrici, quello scenario avrebbero proprio contribuito a plasmare: un mondo che della cultura, così come del diritto, aveva una visione autoritativa, piuttosto che potestativa, per usare le categorie di Paolo Grossi.

Già solo una considerazione di tutto ciò, in congiunzione con la forza poietica di creazione di una lingua e di uno spirito nazionale nei secoli a seguire, basterebbe a giustificare la particolare attenzione che Dante e la sua opera meritano di conservare.

Ma è tutto qui o c’è dell’altro? Dante ha una forza morale che, oggi come allora, dovrebbe essere in grado di attrarre, circolare e influenzare eticamente il mondo di oggi?

Sul fatto che l’ispirazione evocata dall’opera di Dante sia quella di un amore e pace universale si può discutere. La considerazione della dannazione eterna inflitta ai condannati all’Inferno ci costringe a scendere a molti compromessi con la nozione medievale di perdono cristiano e di umana pietà. A tal proposito, un interessante dialogo prende forma tra Dante e Filippo Argenti nella recente della canzone “Argenti Vive” del rapper italiano Caparezza, sollevando interessanti quesiti in ordine alla coerenza del Sommo Poeta.

Una prima risposta del perché nel nostro tempo possiamo ancora riconoscerci in Dante è giunto ieri dalla conferenza del prof. Mega Ferreira: Dante esule, Dante sofferente, Dante perduto e in minoranza, “sempre a suo agio e d'accordo con una minoranza di persone”. E pure in questa sofferenza, in questa perenne alternarsi di illusione e disillusione di poter tornare nella sua Firenze, Dante trova dentro di sé qualcosa a cui aggrapparsi, un progetto disperato da difendere con furor eroico, un modo per elevarsi e riscattarsi, di fronte a se stesso e alla società.

E riscattarsi non tanto (specie a mano a mano che le speranze si affievoliscono) con la forza dell’intrigo e della congiura, ma della scrittura: che fosse un’intuizione del fatto che la penna ferisce più della spada, o un anelito ad eternarsi attraverso l’arte, o entrambe le cose, Dante tocca le corde dell’individuo contemporaneo attraverso un tòpos universale.

L’universalità si percepisce anche quando Dante travalica i particolarismi delle realtà politiche del suo tempo e riesce ad immaginare una comunità nazionale quando un simile progetto politico poteva apparire risibile e ingenuo: in questo senso, Dante parla a chi oggi ancora osa sollevare parole a difesa di una unione politica più stretta tra gli Stati dell’Unione Europea o a chi non dimentica progetti kantiani di pace perpetua, fondati su un ordine politico internazionale retto su basi democratiche, anziché oligarchiche.

Per restare in tema, per Dante l’elevazione spirituale non era prerogativa degli aristoi, di chi riduceva la propria superiorità al vanto di appartenere ad un nobile casato: per il Sommo Poeta, la nobiltà era accessibile a chiunque avesse un cuor gentile, a prescindere dalla ricchezza e potenza della propria stirpe: un Dante, oserei ripetere, audacemente democratico.

Ma il messaggio a mio parere più attuale per l’individuo del Novecento, che ha vissuto la terribile esperienza dei totalitarismi, e dell’individuo del Duemila, che ne percepisce l’ombra minacciosa riavvicinarsi a poco a poco, è quello dell’arte del compromesso, non inteso come arrendevole appeasement, bensì come riconoscimento dell’umanità del proprio avversario come base per un dialogo che permetta di superare pregiudizi ed odi sedimentatisi nel tempo. Sempre il prof. Mega Ferreira rievocava come nella Commedia si percepisca il progressivo scivolamento di Dante verso posizioni politiche opposte a quelle di partenza, per far fronte comune contro un nemico più grande.

Questo compromesso e anelito alla sintesi delle forze opposte mi richiamano alla mente lo scrittore e giornalista Adam Michnik, che sotto il regime comunista si spese per rintracciare le radici dell’odio tra i cattolici e i socialisti e per cercare di unire le anime più moderate di entrambi gli schieramenti contro il nemico totalizzante comune. Per chiudere queste mie riflessioni mi rifarei ad una citazione proprio di questo autore polacco, liberamente tradotto:

“Marx scrisse una volta, parafrasando Hegel, che ogni fatto storico si ripete due volte – prima come dramma, poi come farsa. Marx si sbagliava: la storia si ripete con frequenza molto maggiore. Il mondo è ancora colmo di inquisitori ed eretici, traditori e traditi, terroristi e terrorizzati. C’è sempre ancora qualcuno che muore alle Termopili, qualcuno costretto a bere un calice di cicuta, qualcuno che attraversa il Rubicone, qualcuno che compila una lista di proscrizione. E nulla suggerisce tutto ciò cessi di ripetersi”. (1)

La constatazione dell’ineluttabilità di questo eterno ritorno era per Michnik, come per Dante, non ragione di pessimistica rassegnazione o nichilismo, bensì innesco, motore dell’Azione.

Pertanto, il fatto che il mondo continuerà ad essere popolato di Filippi Argenti e di Bonifaci VIII non ci impedisce di continuare a cercare di combattere il male e – cosa ancor più difficile – a riconoscerlo.

Per queste ragioni, e per quelle che sono sicuro continueranno ad emergere nei contributi degli/delle illustri dantistə a cui lascio la parola, non solo sento di rimuovere il punto interrogativo dopo il titolo di questo Colloquio, ma mi permetto di aggiungere idealmente un punto esclamativo: “Dante. Poeta del nostro tempo!

Grazie.

 

(1): Adam Michnik and Elzbieta Matynia, The Ultras of Moral Revolution, Daedalus Vol. 136, No. 1, On Nonviolence & Violence (Winter, 2007), pp. 67-83 (17 pages) Published by: The MIT Press on behalf of American Academy of Arts & Sciences


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