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Basso Medioevo: la varietà dei rapporti culturali

Sulla forza ed intensità dei rapporti tra Italia e Portogallo hanno contribuito, tra gli altri, gli anonimi ingegneri pisani che, tra i crociati diretti alla Terra Santa, parteciparono all’assedio e alla conquista di Lisbona del 1147, lasciando una forte impressione sui contemporanei per le raffinate tecniche strategia militare. O gli anonimi navigatori genovesi che, con l’autorevolezza dei loro navigli anche al di là delle colonne d’Ercole, già nel 1190 permisero l’utilizzo del loro “logo” al Regno d’Inghilterra, in modo da ottenere accesso e protezione nel Mediterraneo a fronte di un pagamento annuale al Doge di Genova. Per questo nelle raffigurazioni medievali e romantiche delle nozze tra João I e Filipa oltre ai leoni dorati di Lancaster compare il vessillo di San Giorgio (croce rossa su fondo bianco): è per gentile concessione dei genovesi, destinati a carriere di successo nei secoli a seguire.

Molti furono gli illustri portoghesi, rappresentanti di varie professioni, attratti dall’Italia. Per esempio il giurista João das Regras non avrebbe potuto sostenere le pretese al trono per il già citato João I se non fosse stato per la formazione ricevuta nel più prestigioso ateneo dell’epoca, l’Università di Bologna, dove nel Collegio di S. Clemente il cardinale Albornoz aveva garantito uno spazio per l’alloggio e sostegno specificatamente per gli studenti di nazionalità portoghese.

Non solo giuristi, ma anche religiosi portoghesi legarono il loro nome a quello dell’Italia. Come quello di Pedro Julião Rebolo, figlio di quel Julião Paes Rebolo cancelliere dei primi tre sovrani portoghesi, sepolto nella Sé Vecchia di Coimbra. Forse Pedro Julião è più noto con il suo altro nome, papa Giovanni XXI, uno dei tanti papi citati nella Divina Commedia Dantesca, ma l’unico per cui Dante esprime aperte parole di stima.

Sempre a Coimbra, un giovane Fernando Martins de Bulhões stava ricevendo la vocazione che l’avrebbe condotto in Italia, per divenire il Santo più venerato al mondo: Antonio da Padova (o da Lisbona, se chiedete ai Lisboeti). A Coimbra nel convento dei Frati Minori di Santo Antão dos Olivais restò a tal punto impressionato dal martirio dei primi cinque francescani martirizzati in Marocco da decidere di divenire missionario, salvo essere trasportato dalla corrente in Sicilia. La partecipazione portoghese, a Padova nel 1995, nelle celebrazioni per l’ottavo centenario di Antonio dimostra il comune sentire tra i cattolici dei nostri due paesi.

Fu però un diplomatico di inizio Quattrocento a fornire il primo resoconto dettagliato in lingua portoghese delle regioni italiane: un araldo che, in vista della partecipazione del sovrano portoghese al Concilio di Costanza del 1416, dedicò parte sostanziale della sua opera De ministerio armorum alla descrizione delle città, popoli e monumenti della “província de Campânia e Marítima”, del “Ducado de Espoleto com a província da Sabínia”, di “Abruzos, Património, Toscana”, del “Reino da Sicília” e infine del “Ducado da Sabóia”.

Se i nomi degli artisti figurativi Álvaro Pires – al quale è stata dedicata a Lisbona nel 2019 la più grande mostra mai realizzata su questo pittore che tanto ha amato l’Italia, le cui opere sono state esposte nell’esposizione organizzata dal Museu Nacional de Arte Antiga e dall’IIC- e Francesco de Hollanda, che tanto hanno contribuito nel periodo rinascimentale al dialogo tra le due culture, sono legati rispettivamente alle città natali Évora e Lisbona, era conimbricense il poeta e drammaturgo Sá de Miranda, considerato l’introduttore del petrarchismo in Portogallo ed iniziatore del Rinascimento letterario portoghese. Egli ebbe modo di conoscere le innovazioni dell’umanesimo italiano durante un lungo soggiorno in Italia nella prima metà del 1500, nel quale entrò in contatto con Ariosto e Sannazzaro, assimilando uno stile che gli consentirà di arricchire la poesia lusitana con il sonetto, genere popolare tra i poeti portoghesi, di cui Camões divenne straordinario interprete.

 

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